La fauna in Abruzzo: Il camoscio d’Abruzzo
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La biodiversità è davvero sorprendente, e in effetti le specie animali spesso meno visibili o meno note tendono a essere oscurate da quelle che sono più iconiche. In Abruzzo, così come nelle grandi savane africane, molte specie rare o peculiari si trovano in secondo piano, come il caso degli orsi marsicani, dei lupi appenninici e delle aquile reali, che dominano l'immaginario collettivo. Questo fenomeno fa sì che animali meno conosciuti ma straordinari, come il capovaccaio o il gatto selvatico europeo, rimangano quasi invisibili agli occhi di molti, nonostante la loro bellezza e unicità.
Abruzzo ospita anche altre specie peculiari di rettili, anfibi e insetti, che abitano ecosistemi unici come le faggete vetuste, patrimonio dell'UNESCO, o le aree umide e montane. È un esempio di come la diversità ecologica non si concentri solo su specie emblematiche ma includa una varietà di esseri viventi che costituiscono un patrimonio naturale eccezionale.

Categoria: Mammiferi ungulati
Il testo descrive l'importanza ecologica e la storia della fauna ungulata in Abruzzo, con particolare attenzione al camoscio d'Abruzzo. Fino al secolo scorso, diverse specie come cervi e caprioli erano diffuse nelle aree montane abruzzesi, ma la caccia intensiva e il degrado ambientale hanno portato alla loro scomparsa in gran parte della regione. La reintroduzione di questi animali è essenziale per mantenere un equilibrio ecologico, favorendo anche la sopravvivenza del lupo appenninico, che, predando gli ungulati, riduce il rischio di attacchi al bestiame.
Il camoscio d’Abruzzo, sottospecie unica dell'Appennino, è spesso descritto come il "camoscio più bello del mondo" e ha affrontato rischi d’estinzione a causa della caccia e della riduzione del suo habitat. Negli anni, iniziative di conservazione hanno favorito la crescita della popolazione. Nel 1922, un'area protetta fu istituita nella Marsica, e, nonostante il bracconaggio continuato, gli sforzi post-bellici di ecologi e zoologi hanno migliorato la situazione. Nel 1978 è nato il gruppo Camoscio Italia, che ha promosso la ricerca e sensibilizzato il pubblico sulla conservazione della specie.
Un'area faunistica a Bisegna è stata dedicata al camoscio nel 1980, e, grazie ai successi riproduttivi, dal 1986 si è iniziato a tentare reintroduzioni in altre aree protette, come il Gran Sasso e la Maiella. Attualmente, il numero giornaliero di visitatori in aree particolarmente sensibili come la val di Rose è limitato, per ridurre il disturbo agli animali, mantenendo così un equilibrio tra conservazione e fruizione turistica.
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