Abruzzo, sulle vie della fede
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Molti sono i visitatori che giungono in Abruzzo spinti dal desiderio di visitare i suoi luoghi della fede. Accanto ai più noti santuari dedicati a San Gabriele di Isola del Gran Sasso, al Miracolo Eucaristico di Lanciano, al Volto Santo di Manoppello, decine di altri luoghi di culto costellano il territorio di questa regione, la cui forte e primitiva natura ha da sempre sospinto i suoi abitanti a confrontarsi col mistero della trascendenza.
Le sue grotte, preistorico teatro di riti ancestrali, e poi i suoi grandi santuari italicoromani, a partire dal Medioevo (quando l’Abruzzo venne cristianizzato) hanno visto subentrare nei medesimi luoghi le prime comunità di monaci e di eremiti, tracciando così un quadro davvero unico di continuità della sacralità dei luoghi di culto.
In tutti i centri dell’Abruzzo, s’impone all’attenzione un nutrito calendario di feste patronali e religiose. Di grande suggestione, in particolare, sono le celebrazioni della Settimana Santa a Chieti, quelle della Pasqua a Sulmona, le celebrazioni in onore di San Pietro Celestino che hanno per centro la basilica di Santa Maria di Collemaggio nel corso della Perdonanza a L’Aquila. Carattere e atmosfere particolari offrono invece i riti in onore di Sant’Antonio Abate e di San Domenico, ancora vivi in molti centri della montagna. In onore del primo si benedicono gli animali e si accendono fuochi di ogni tipo, fra cui le famosissime farchie; per celebrare il secondo, a Cocullo e in altri centri si svolgono gli antichi riti dei serpari. Si tratta di manifestazioni della religiosità popolare che invitano allo stesso modo i fedeli e i visitatori laici desiderosi di accostarsi alle tradizioni e alla storia.
I principali santuari
Il santuario di San Gabriele di Isola del Gran Sasso
Ai piedi dell’imponente versante teramano del Gran Sasso, il santuario di San Gabriele è visitato ogni anno da due milioni e mezzo di fedeli, ed è quindi il luogo sacro più popolare dell’Abruzzo. È consacrato a San Gabriele dell’Addolorata, che vi morì nel 1862, a soli ventiquattro anni. La sua fama si diffuse a partire dal 1892. I numerosi miracoli a lui attribuiti portarono alla sua beatificazione nel 1908. Divenne santo nel 1920 sotto il pontificato di Benedetto XV, e fu proclamato patrono dell’Abruzzo nel 1959 da papa Giovanni XXIII.
Il santuario degli inizi del ’900 prese il posto di un complesso duecentesco fondato probabilmente da San Francesco d’Assisi, accanto al quale sorse più tardi una chiesa dedicata all’Immacolata.
Il vecchio santuario è stato affiancato nel 1970 da una nuova e moderna costruzione, inaugurata nel 1985 da Giovanni Paolo II.
La sua grande sala, che misura 90 metri per 30, è in grado di accogliere contemporaneamente 10.000 persone.
Nel vecchio santuario, oltre al sepolcro del santo, le cui spoglie sono custodite in un’urna di bronzo, si può visitare la raccolta di ex voto e cimeli della vita di San Gabriele. Il santuario è frequentato dai fedeli tutto l’anno. Date particolarmente significative sono il 27 febbraio, anniversario della morte del santo, il mese di marzo, quando migliaia di studenti lo visitano a 100 giorni dagli esami di maturità, e la fine di agosto, quando una festosa tendopoli di giovani s’installa nelle vicinanze del santuario.
Il santuario del Miracolo Eucaristico di Lanciano
Nel centro di Lanciano (l’antica Anxanum), la chiesa di San Francesco, costruita nel 1258 in stile romanico-borgognone e rifatta in forme barocche intorno alla metà del Settecento, conserva la testimonianza del più antico miracolo eucaristico del mondo cattolico. Intorno all’anno 700, nella chiesa di San Legonziano, un monaco basiliano manifestò infatti dei dubbi sulla reale presenza di Cristo nell’Eucarestia. Durante la messa, però, l’ostia e il vino consacrati si trasformarono realmente in carne e in sangue. Custodite prima dai Basiliani, poi dai Benedettini e infine dai Frati Minori Conventuali, le due reliquie sono oggi conservate rispettivamente in un ostensorio di scuola napoletana (1713) e in un calice di cristallo. Oggi come in passato, le reliquie consistono in cinque gocce di sangue coagulato e nella sottile membrana di carne risultato della trasformazione dell’ostia. Gli esami istologici effettuati nel 1971 e nel 1981 nell’ospedale di Arezzo hanno dimostrato che si tratta di sangue e tessuto cardiaco umani che non sono mai stati trattati per la conservazione. Il santuario del Miracolo Eucaristico vede sfilare decine di migliaia di fedeli ogni anno.
Il santuario del Volto Santo di Manoppello
Ai piedi del versante settentrionale della Majella, nei pressi dello storico borgo di Manoppello, il santuario del Volto Santo è frequentato dai fedeli tutto l’anno ed è meta di pellegrinaggio la seconda domenica di maggio. Costruito tra il 1617 e il 1638 e in buona parte rifatto nel Novecento, custodisce una immagine di Cristo su lino, detta “il Velo della Veronica” (da “vera icona”) che, secondo la tradizione, sarebbe stata consegnata nel 1506 da un angelo in sembianze di pellegrino allo scienziato Giacomo Antonio Leonelli di Manoppello. Secondo alcuni storici, l’immagine miracolosamente comparsa ai piedi della Majella era già stata descritta in precedenza, in Terrasanta, da alcuni cronisti medievali, e trafugata poi da Roma dov’era stata portata. Secondo gli studi recenti del prof. H. Pfeiffer questa reliquia costituirebbe, assieme alla Sindone di Torino, l’unico esempio conosciuto di immagine “acheropita” del Cristo, cioè non dipinta da mano umana.
Il santuario della Madonna dei Miracoli di Casalbordino
A pochi chilometri dal mare, sulle colline tra le valli del Sinello e del Sangro, il santuario di Casalbordino ricorda un’apparizione miracolosa avvenuta nel 1526. Mentre il contadino Alessandro Muzii si dirigeva verso il suo campo recitando il rosario, la Madonna gli apparve in un querceto e gli rivelò che il furioso temporale del giorno precedente era stato causato dall’indignazione divina per i peccati della gente del posto.
Sul luogo dell’apparizione sorse una cappella, che fu poi sostituita da un santuario. L’edificio attuale risale al 1824, ed è meta di un affollato pellegrinaggio l’11giugno di ogni anno.
Le forme e l’intensità della devozione popolare ispirarono Gabriele d’Annunzio (che ne trasse Il Trionfo della morte) e il pittore Francesco Paolo Michetti.
I SANTUARI DEL MORRONE
Un esempio davvero particolare di questa continuità ininterrotta della sacralità dei luoghi, così tipica della religiosità abruzzese, si ha nella valle Peligna, alla base della immane parete rocciosa del Monte Morrone. A pochi metri l’uno dall’altro, ma evidentemente collegati da un unico senso di presenza del divino che emana dal luogo, sono infatti: un santuario rupestre neolitico (VI millennio a.C.), con meravigliose figure di oranti dipinti in ocra rossa sulla roccia; lo spettacolare proscenio del Tempio di Ercole Curino, dove ventidue secoli fa la Confederazione Italica si riunì per opporsi e combattere l’astro ascendente di Roma; l’eremo di Sant’Onofrio, fondato nel Medioevo da Celestino V, e incastonato come un nido d’aquila sulla tormentata parete rocciosa; e infine il grande ed elegantissimo complesso rinascimentale della Badia Morronese, dove l’ordine monastico dei Celestiniani stabilì la propria casa madre.
Quattro insediamenti religiosi, di quattro epoche e tre cornici di culto diverse, raccolti in un fazzoletto di territorio, a pochi metri l’uno dall’altro: una testimonianza di continuità dei luoghi di culto che affonda le proprie radici nella preistoria e giunge ininterrotta sino a noi!
LA SCALA SANTA DI CAMPLI
Campli è oggi un tranquillo borgo pedemontano dei Monti Gemelli, prime alture della Laga, ma secoli fa era uno dei più importanti centri della terra di confine tra Teramo e Ascoli Piceno, fra Regno Borbonico e Stato Pontificio.
Città benestante e prospera, sede di ricche confraternite di artigiani e commercianti, detentrice, grazie alla sua posizione, di privilegi ecclesiali come il Vescovado, Campli vanta un passato che ha lasciato forti testimonianze dei suoi splendori, come la Scala Santa.
“[...]Custode amorevole dei tesori celesti della Chiesa, per incrementare la religione dei fedeli e la salvezza delle anime, a tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, veramente pentiti, confessati e comunicati, che saliranno in ginocchio la Scala costruita nella città di Campli [...] con questa lettera e con l’autorità apostolica, concediamo paternamente di poter ottenere tutte e singole le indulgenze, la remissione dei peccati e delle pene, che potrebbero ottenere se personalmente, devotamente ascendessero in ginocchio la Scala Santa della nostra Alma Roma. Quanto stabilito ha da valere in perpetuo, in futuro, nonostante qualsiasi cosa in contrario [...] Datato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, XXI Gennaio 1772, anno terzo del Nostro Pontificato”. A firma, CLEMENTE PAPA XIV.
Fu con questo “breve”, un editto simile alla “bolla”, che papa Clemente XIV attribuì ufficialmente il privilegio della Scala Santa alla città di Campli. Non fu un dono inatteso per la cittadina abruzzese, bensì il frutto di un lungo e paziente lavoro diplomatico dell’avvocato Gianpalma Palma, già Camerlengo del Comune, che ottenne per la sua città l’ambito privilegio papale e fece costruire la Scala Santa. Alla Confraternita delle Sante Stimmate di San Francesco, di cui era priore, venne attribuito il ruolo di custodia del sacro edificio. La Scala Santa si trova al margine della piazza principale, dietro Palazzo Farnese. Il suo cuore sono i 28 gradini in legno di quercia da salire in ginocchio – le donne a capo coperto – pregando e chiedendo perdono dei propri peccati. La ricompensa per i fedeli è l’assoluzione, e in alcuni giorni dell’anno, l’Indulgenza Plenaria, che ha lo stesso valore di quella ottenibile pregando sulla più famosa Scala Santa di Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il monumento è molto ricco di simbologie che ne motivano ogni singolo elemento.
Il dover salire in ginocchio, osservati dai personaggi di sei eccezionali dipinti – tre a destra e tre a sinistra della Scala, che raccontano altrettanti momenti salienti della Passione di Cristo – porta il fedele a ripercorrere le tappe di Gesù verso la croce e riviverne, simbolicamente, la sofferenza.
L’ultimo gradino conduce al Sancta Sanctorum dov’è l’altare del Salvatore, il Cristo Salvator Mundi, in grado di liberare il peccatore dal suo fardello. Dopo aver reso il simbolico omaggio a papa Clemente e a Sant’Elena, quasi reali negli splendidi colori dei loro ritratti a grandezza naturale, il credente purificato nell’anima scende verso la luce del giorno, stavolta in piedi, accompagnato dalle scene gioiose della Resurrezione e osservato da angioletti sorridenti affacciati dal tetto. La Scala Santa di Campli è una delle meglio conservate tra quelle esistenti in Italia, ma anche una delle meno note.
L’EREMO DI SAN BARTOLOMEO DI LEGIO
Sulle pendici settentrionali della Majella, abbarbicato come un pueblo messicano alle rocce del vallone di Santo Spirito, in territorio di Roccamorice, si trova il più spettacolare degli eremi d’Abruzzo, San Bartolomeo in Legio.
Il percorso di avvicinamento al vallone e al suo eremo è segnato da antiche croci in ferro. Superata la terza croce, l’accesso all’eremo avviene attraverso un grande foro nella roccia, con i gradini scolpiti nella pietra nuda.
Sotto il riparo di un costone compatto apparirà allora, con grande e sorprendente effetto, la facciata della piccola cappella, incastonata nella cengia che taglia la parete rocciosa come un terrazzo. Dalla cappella due ripide scalinate portano al suggestivo greto sottostante, eroso nella nuda roccia anch’esso.
La vicenda di questo eremo è legata strettamente alla celebre figura di Pietro Angeleri, l’eremita della Majella salito nel 1294 al soglio papale col nome di Celestino V, che nella seconda metà del XIII secolo più volte si ritirò su queste rupi in preghiera con i suoi discepoli.
All’interno, la chiesetta è quasi tutta scavata nella roccia e solo la parete esterna è in muratura.
In una nicchia sopra l’altare cinquecentesco è collocata la statua in legno dipinto di San Bartolomeo, un’opera ottocentesca modesta ma oggetto di grande venerazione, e non solo da parte dei fedeli locali.
Ogni anno, la mattina del 25 agosto la chiesetta è raggiunta da centinaia di fedeli che, dopo aver assistito alla messa, portano in processione la statua del santo fino alla chiesa parrocchiale di Roccamorice, dove è oggetto di grandi festeggiamenti. A San Bartolomeo i devoti si rivolgono anche in altri momenti dell’anno, prendendo in prestito dalla statua il suo coltello, usandolo per scongiurare malattie e chiedendo l’intercessione del santo. Ma il culto popolare è legato anche ai presunti poteri curativi e miracolosi dell’acqua che sgorga dalla sorgente posta in fondo al vallone. Da una porticina a fianco dell’altare si accede a una piccola stanzetta usata come sagrestia, e un tempo sfruttata anche dagli eremiti come ricovero. Uscendo sul retro ci si affaccia sulla suggestiva cornice dei terrazzamenti del vallone. Poco lontano, sotto un altro riparo di roccia del tutto simile a quello dell’eremo, scavi archeologici hanno scoperto la presenza di un villaggio dell’età della pietra, risalente al periodo Neolitico.
